Certificazione

Certificazione di qualità, esigenza reale o elemento accessorio

Se l’obiettivo di assicurare adeguate risorse alimentari a tutti gli abitanti della terra è ancora oggi prioritario, è altrettanto vero che questa emergenza planetaria deve essere gestita facendo tesoro delle esperienze maturate, in modo che l’ approvvigionamento alimentare non ponga in secondo piano la sicurezza alimentare, la salvaguardia della biodiversità e la preservazione dell’ambiente.

Su questi argomenti di grande interesse il cittadino può svolgere un ruolo attivo condizionando sia le scelte dei propri rappresentanti politici ed istituzionali, ma anche conformandosi a comportamenti virtuosi sia nei panni di produttore che di consumatore. Uno degli strumenti più efficaci a sua disposizione, pur consapevoli della complessità e vastità di un settore in continua evoluzione, va sicuramente individuato nelle politiche di qualità da gestire mediante sistemi di certificazione sia di carattere volontario che obbligatorio.

Qualità

Il termine qualità ha assunto nel linguaggio corrente un significato molto vago che consiste nell’attribuire genericamente proprietà superiori alle cose alle quali si riferisce. Siamo consapevoli che un’arancia piena di semi e con una buccia tenace, anche se molto succosa e dolce, non ha i requisiti per essere definita di qualità se destinata al consumo fresco, ma spesso ci sfugge che la stessa potrebbe essere valutata di qualità superiore nel caso in cui venisse destinata all’estrazione del succo.

Il concetto di qualità, pertanto, esprime un valore relativo in quanto individua il grado di soddisfazione che il prodotto (bene o servizio) riesce a garantire in funzione del contesto e delle finalità per le quali viene utilizzato.

Per poter avere un riferimento che consenta di dare valore universale al termine al riparo da arbitrarie valutazioni soggettive, pur nella consapevolezza di doversi proiettare nelle varie situazioni in cui si opera, è opportuno citare la definizione riportata nella norma UNI EN ISO 8402 che individua la qualità come “ l’insieme delle caratteristiche di un prodotto o di un servizio che conferiscono ad esso la capacità di soddisfare esigenze espresse o implicite”.

Potremmo anche dire che qualità è la riscontrata conformità del prodotto ai requisiti noti e ben accetti dal consumatore.

In ambito agricolo questa definizione assume grande importanza alla luce della nuova politica agricola comunitaria, fortemente orientata verso il perseguimento dell’obiettivo qualità .

In modo particolare va sottolineato che, un’attenta definizione consente di applicare al meglio anche regolamenti comunitari che trattano solo marginalmente la qualità come ad esempio il Reg (CE) 1698/05 che disciplina la programmazione dello sviluppo rurale. Infatti, tra le misure di sostegno allo sviluppo rurale promosse dal predetto regolamento, si individuano specifici interventi in favore dei metodi di produzione intesi a migliorare la qualità dei prodotti agricoli.

In particolare, si prevede la possibilità di erogare sostegni finanziari per la riduzione delle spese necessarie alla certificazione sostenute dai produttori che aderiscono ai sistemi di qualità “regolamentati” per l’ottenimento di prodotti da agricoltura biologica di cui al Reg CEE 2092/91, a denominazione di origine protetta DOP o ad indicazione geografica protetta IGP o per le specialità tradizionali garantite STG Reg. CE 1151/2012 nonché per i vini di qualità prodotti in regioni determinate VQPRD Reg. CE 1493/99. I prodotti di cui ai predetti regolamenti vengono definiti di qualità in quanto devono garantire la conformità ai requisiti individuati negli specifici disciplinari di produzione.

Sempre il il Reg CE 1698/05 prevede la possibilità di definire ed adottare dei sistemi di qualità nazionali al fine di valorizzare peculiari modalità produttive o particolari caratteri del prodotto. E’ questo il caso che ben si adatta al progetto di uniformare la disciplina della produzione integrata italiana. Non va trascurato, inoltre che per diverse produzioni di “nicchia”, espressione di attività relative a prodotti ormai marginali o relegate in comparti territoriali depressi, può essere proibitivo in termini di strutture e costi adeguarsi alla disciplina dei predetti regolamenti. In questi casi potrebbe essere utile introdurre il marchio collettivo quale ulteriore strumento giuridico per la salvaguardia di queste produzioni definite “povere”.

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